Hendioke's Lair

In the deep of the dragon

I come back (again)! e una piccola considerazione sul POV

Arieccomi.

 

Ci eravamo lasciati con la duplice notizia che avevo finito la tesi e che avrei partecipato al NaNoWriMo. Bene, mi sono laureato, abbastanza a sorpresa (da noi non ti avvertono con molto anticipo, sai solo che in un range di 60 giorni uno sarà quello della tua proclamazione ma quale te lo dicono tipo la settimana prima), e anche per via di questo ho fallito clamorosamente il NaNoWriMo fermandomi a 13.000 parole circa.

Successivamente sono stato due settimane a Edimburgo (fantastica città), a dare una rispolverata al mio inglese, a bere Guinness like-there’s-no-a-tomorrow, andare a vedere lo Hobbit, rincontrare un vecchio amico e incontrarne anche di nuovi, sono tornato, mi son messo in cerca di uno studio dove fare la pratica forense, l’ho trovato e sto lavorando.

Fiuuu

Come potete immaginare questo ha drasticamente abbattuto il mio tempo libero e quello dedicabile alla scrittura, difatti ho deciso che per il momento mi limiterò a coltivare la trama (molto semplice invero) del romanzo che stavo scrivendo al NaNo e a coltivare la mia cultura; giacché ho preso coscienza che se voglio fare della scrittura il mio futuro mestiere è il caso che la mia cultura vada oltre i film, i videogiochi e le letture che mi divertono ma che devo metterci anche un po’ di classici (abbandonati anni fa) e saggi.

E, ovviamente, ho deciso di riprendere in mano il blog visto che, dopo scrivere narrative, scrivere riguardo la narrativa credo sia la cosa migliore che posso fare per mettere ordine nelle idee (e con un po’ di culo attirare qualche opinione intelligente che anche solo venga a dirmi “hai capito un kaiser”).

Dunque riprendiamo subito con una mini considerazione su un argomento a me molto caro e che trovo stia venendo trattato in modo molto talebano nella nostra italica blogsfera: il POV.

Per i pochi marziani che girano, il POV (acronimo di Point of View) è il termine col quale si definisce il punto di vista dal quale, in un preciso momento del racconto, il lettore sta osservando la storia. Poiché, con qualche eccezione, i libri non sono diorami il POV viene deciso dallo scrittore di volta in volta (l’analogia che si spreca più spesso è con la posizione, la direzione e gli effetti di camera nel cinema) e ne esistono molteplici modelli, anche se attualmente girando per la blogsfera se ne incrociano solo due modelli, apparentemente ascrivibili a due differenti scuole di pensiero.

Il primo è il modello onnisciente, un POV che non ha limiti in quello che può vedere, nelle azioni che può seguire, nelle cose che può conoscere. E’ un POV che può leggere nelle menti e nell’anima di tutti i personaggi e non si riduce nella sfera sensoriale (ciò che può essere percepito) e cognitivo (ciò che viene pensato) di un personaggio, o comunque mai stabilmente. E’ il cosiddetto POV del narratore onnisciente.

Il secondo è il modello del POV limitato alla sfera sensoriale e cognitiva dei personaggi e che quindi non può vedere, seguire, conoscere più di quanto conosca, veda e segua il personaggio al quale è legato. Può legarsi a più personaggi nel corso della storia o rimanere sempre con lo stesso, può seguirli da fuori (e allora il POV non avrà la stessa precisa voce del personaggio ma sarà un narratore che non ne sa più del personaggio) oppure da dentro la loro testa (e allora la voce del POV sarà quella del personaggio), può rimanere legato allo stesso personaggio finché non si chiude un arco narrativo o passare da un personaggio all’altro anche nella stessa scena. Possiamo chiamarlo il POV del personaggio.

A dar retta a quello che si legge in giro il primo suca e il secondo spacca i culi, il primo è sinonimo di bleah!, brutto romanzo, incapacità, scarso coinvolgimento mentre il secondo è sinonimo di bel romanzo (o comunque scritto bene), capacità, profondità, coinvolgimento e sexitudo. Il perché ci sia una tale chiusura verso l’uno e una speculare apertura totale all’altro è il nodo che cercherò di sciogliere in questa sede, e per farlo mi servirò delle considerazioni del buon Taotor che scelgo non perché lo creda un talebano di una certa scuola di pensiero ma nella sua recensione de “I Giardini della Luna” (che ho incrociato mentre cercavo come procurarmi l’opera) ha espresso delle considerazioni illuminanti sul fenomeno di spassionati critica e amore di cui sto parlando.

Questo è il passaggio del libro incriminato da Taotor

Paran si alzò, slacciando il cinturone. Lo posò sul tavolo, poi estrasse Fortuna.
I pochi clienti regolari del bar ammutolirono, girandosi a guardarlo. Dietro il banco, Scurve allungò la mano verso il suo bastone.

e questo è il passaggio della rece incriminato dal sottoscritto

Paran, il protagonista, non è un assiduo frequentatore del posto. Quindi non può sapere quali siano i “pochi clienti regolari del bar”.

Inoltre, è chiaro che l’azione di Scurve – il locandiere – che “allunga la mano verso il suo bastone” è totalmente fuori dal campo visivo e cosciente di Paran.

Il risultato che si ottiene è una buona scena per un film (Paran che si alza e si slega il cinturone, cambio inquadratura sui volti preoccupati dei clienti che si guardano, cambio con inquadratura “nascosta” nel bancone che riprende Scurve dal basso mentre afferra il bastone).

Per un film va bene, per la prosa no. Non che qualcuno lo vieti, ma se la stessa scena venisse scritta omettendo l’onniscienza del narratore non si perderebbe nulla. E, se si aggiungessero invece dettagli da in-pov, si assorbe di più la personalità del personaggio e la credibilità della scena.

Inoltre, stilisticamente parlando, scegliere di adottare un pov e poi saltare a un altro – come avviene più e più volte nel corso del romanzo -, è come fissare delle regole e poi non rispettarle. Un po’ come giocare in due a scopa napoletana, e al momento della scopa di uno l’altro dica: “No, questa è la scopa francese, si prende l’11 e il 13”.

Ora, io non so se nel contesto della scena le tre righe succitate sono o meno fastidiose. Se Erikson (l’autore) ha fino a quel momento tenuto un POV saldamente limitato alla sfera sensoriale e cognitiva di Paran allora sì, un cambio così repentino deve dare fastidio, ma al netto di questa ipotesi non ho trovato niente di fastidioso, incomprensibile e alienante in questo guardarsi attorno e girare del POV.

E neanche Taotor l’ha trovato incomprensibile, difatti la critica che muove a questa scelta è, semplicemente, che andrebbe bene per un film ma non per la prosa. WTF?

Ok, nessuno lo vieta, ma scegliere, nella prosa, di assumere un POV slegato dal personaggio, diciamo neutro va, che può osservare quel che accade da un punto che non corrisponde a nessun personaggio ma che, semplicemente, guarda al luogo in cui si svolge la scena e l’abbraccia tutta, in tutti i suoi personaggi e in tutto quel che accade anche in quel che non si può vedere ma il narratore può conoscere (“gli avventori abituali”) è brutto. Oh bella, e perché? Perché se si omettesse l’onniscenza del narratore verrebbe meglio, perché se ci fossero più dettagli legati alla sfera di Paran si assorbirebbe di più la personalità del personaggio e la credibilità della scena.

Ma davvero? Cioè, delle tre obiezioni promosse quella dell’assorbire di più la personalità del personaggio (anche se un giorno voglio scrivere un post a riguardo) passa, perché è innegabile che ogni elemento della storia filtrato, anche solo indirettamente, dal personaggio ci racconta qualcosa di quel personaggio, ma le altre due proprio non ne vedo la ragione se non in una presa di posizione per cui Character POV è bello e POV del narratore è brutto, perché sì.

Prima di tutto che la scena perda di credibilità perché vengono mostrate/dette cose fuori dalla portata sensoriale e cognitiva del personaggio non è oggettivamente vero. Una scena è credibile se quel che avviene è credibile. punto. Una scena può perdere credibilità quando quel che avviene non ha coerenza interna oppure se, pur avendo in senso in sé stessa considerata, cozza con delle informazioni pregresse. Ad es. se Erikson ci avesse prima resi edotti che Scurve a portata di mano tiene una spada e non un bastone la scena sarebbe stata meno credibile. Se, però, quel che accade è che fino al secondo prima eravamo, assieme al POV, legati entro la sfera del personaggio e il secondo dopo il POV se ne libera la scena non perde credibilità, la perde il POV.

Pensate alla scena incriminata e fate l’ipotesi che fino al momento prima non poteste andare oltre i confini della sfera del personaggio, la vostra prima reazione sarebbe “Che cazzo sta succedendo” o, “Come cazzo fa a saperlo?”. Direi che Taotor risponde per noi. Il lettore, abituato, o convinto che così dev’essere, a fruire di una narrazione costantemente filtrata dal personaggio vive il cambio di POV come il crollo di un punto di riferimento (e che punto di riferimento; legare il POV al personaggio ne fa in un certo senso il nostro avatar).

Ma questo non significa che avere un POV slegato dai personaggi o che si lega solo per brevi momenti e che poi saltella onnisciente qua è la sia sbagliato o produca uno scarso risultato, solo ottiene un risultato diverso. Senza essere limitati alle sfere cognitive e sensoriali dei personaggi il lettore assume una differente visione della storia che può essere ugualmente, se non più, profonda della visione personaggio centrica, solo avrà il suo focus in altro, ad esempio nelle azioni che vanno in scena per cui sarà più scombussolante, per il lettore, quando un’azione avrà una esecuzione strana o priva di senso (es. un guerriero che prima porta un affondo frontale con una spada e il secondo dopo uccide l’avversario piantandoli la punta di un martello da guerra nella schiena).

Ma questo va bene per un film, non per la prosa!!!!! Sticazzi! Sinceramente, se volessi fruire di una storia fantastica ed epica rimanendo tutto il tempo prigioniero della sfera d’azione e cognitiva del solo protagonista non leggerei un fantasy ma giocherei a The Elder Scrolls! Da un mezzo senza limiti come la scrittura mi aspetto un attimo più di scelta.
Se scelgo di leggere un fantasy, invece che guardarmi un film fantasy o giocare a un videogioco fantasy forse è perché sono attirato dalla poliedricità del mezzo che consente di spaziare da POV in da head a narratori onniscienti nel giro di due righe creando un effetto orchestrale di tecniche che il cinema e i videogiochi, e la musica ancora gli spicciano casa e non si permettono di fargli la cresta sulla spesa.

Detto questo è ovvio che se si sceglie di seguire una tecnica questa deve essere prevalente, e difficile tenere in parità diverse tecniche nello stesso libro senza che esca una schifezza, e di certo è impossibile saltare da una all’altra come un grillo sotto anfetamine su un pezzo dei Daft Punk quindi capisco cosa abbia portato i blogger italiani negli ultimi anni ad avercela su con i narratori onniscienti e i POV fuori dal personaggio, ma se da una parte abbiamo una pletora di scrittori italiani di fantasy che pensano che il POV sia un altro modo di chiamare il gioco delle pulci dall’altra sostenere che il POV legato al personaggio sia il modello migliore (e a sentire alcuni, l’unico) non è meno sbagliato. Nella fregola di salvare il buon scrivere dallo scrivere merda si rischia di sostenere che vi sia un solo modo di scrivere, un po’ come quando non dai al piccolo più di un pennello che altrimenti chissà che farebbe! Invece di dipingere sulla tela ne prenderebbe 4 per mano e imbratterebbe il divano, oh Belgesù, sia mai.

Il POV slegato dal personaggio ha dalla sua degli indubbi vantaggi. Se da un lato rende meno forte il legame fra lettore e personaggio non rende più difficile caratterizzarlo in quanto basta mettere più enfasi sulle sue azioni (e niente impedisce al narratore di fare una scappata nella sua mente quando serve) e assicura il non piccolo vantaggio di liberare il lettore dalla schiavitù di essere costretto nella mente del personaggio principale o del protagonista di turno, vantaggio non indifferente, soprattutto quando invece di scrivere Hunger Games (dove è difficile immaginare scelta più azzeccata del POV nella testa della protagonista), si cerca di narrare una storia di più ampio respiro, dove i personaggi si muovono in uno scenario ampio e in una trama complessa con molti campi d’azione, fronti, storie incrociate ecc.

Adesso, sicuro come l’oro Lannister, salterà su qualcuno a dire “E Martin allora?” il grande maestro del POV, che addirittura da il nome del personaggio POV ai capitoli?

Bhe, Martin è la dimostrazione scrivente, secondo me, che alla fine in letteratura mescolare le tecniche, se si è capaci, è sempre la scelta migliore. Prima di tutto vorrei far notare che il suo è un POV che segue sempre i personaggi ma non è mai direttamente nelle loro teste. E’ un narratore che segue il personaggio e ne adotta lo stile (come il compagnone che ti vien dietro e inconsapevolmente adotta il tuo stesso passo), ma è sempre pronto a infilarci l’imbeccata onnisciente, soprattutto l’infodump…ma questo a un’altra volta.

Buonanotte!

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6 pensieri su “I come back (again)! e una piccola considerazione sul POV

  1. (Questo è un commento spassionato, perché è inutile dire che concordo, visto che ho anche addirittura l’onore di essere citato! :D)

    Martin è sopravvalutato: io lo ritenevo tipo il miglior scrittore fantasy, quando avevo 15 anni, poi però basta leggere altri autori e informarsi/riflettere un po’ sulla tecnica della scrittura per capire che le cose sono più complesse.
    Io personalmente sono dell’opinione che sia pressoché impossibile conciliare contenuto & forma (ma ciò non significa che non si debba provare!). Il giusto equilibrio è il migliore compromesso che si possa raggiungere, a mio avviso, per avere un risultato decente (che riesca a raggiungere il lettore in maniera efficace). Per esempio, Palahniuk è (al momento, magari tra qualche anno mi ricrederò) lo scrittore che preferisco, sia per i contenuti che per la forma. Non sempre però c’azzecca (con me), e su 10 opere me ne piacciono, per dire, 5, 6. Mi chiedo, poi, come sarebbe se scrivesse un fantasy. Magari per quel genere non lo apprezzerei.
    In teoria un buono stile potrebbe essere applicato a qualsiasi genere. Però è anche vero che ogni genere ha dei seguaci che a loro volta possiedono una scala di priorità in ciò che vogliono leggere. Certi appassionati di hard sci-fi per esempio danno più importanza agli aspetti scientifici/tecnologici piuttosto che alla trama in sé.
    Purtroppo molti lettori fantasy o sono decerebrati o hanno come modello di riferimento lo stile aulico/raffinato/complicato semplicemente perché non hanno una grande esperienza in fatto di narrativa e scrittura (un paio di autori che fanno da modello, e.g., Tolkien e Terry Brooks), o semplicemente perché hanno un ideale distorto di ciò che è la narrativa (colpa dell’istruzione pubblica!)
    Ad ogni modo, a me piacerebbe per esempio leggere un misto di Erikson+Martin, laddove Martin potrebbe correggere le cadute di POV di Erikson e questi smorzare l’eccessivo infodump “condonato” di Martin.

  2. Hendioke in ha detto:

    Grazie d’esser passato 🙂
    Che autori fantasy mi consigli per rivalutare il buon zio Martin? Alla fin fine il fantasy mi piace ma non ho letto valanghe di autori e vorrei ampliare un po’ (stavo appunto cercando il primo libro di Erikson).
    Su quel che dici mi trovo d’accordo, con poche differenze.
    Personalmente credo che il perfetto equilibrio contenuto-forma sia difficilissimo da raggiungere ma non impossibile relativamente a un singolo libro.
    Trovo, cioè, che un autore geniale potrebbe scrivere un libro che ti faccia dire “questo libro non poteva essere scritto in altro modo” come esistono rarissimi film che ti fan pensare che non toglieresti/aggiungeresti/cambieresti un fotogramma.
    Poi penso anche che non solo i seguaci dei vari generi hanno differenti scale di proprietà ma anche che ogni grande autore ha uno stile suo proprio che riesce a raggiungere i suoi estimatori anche se compie degli errori.
    Chiariamoci, Troisi scrive male indipendentemente da quanto seguito di fan emozionati dalle sue storie ha, però, uno scrittore che scrive bene può fare di quello che è formalmente un errore una cifra stilistica e inserirlo in uno stile dove non è più un errore o una tecnica debole ma un punto forte.
    Nel fantasy secondo me il problema, oltre che nelle scellerate scelte editoriali nostrane e nella nostra scarsa cultura di genere (l’ultimo autore fantastico di un certo peso che abbiamo avuto mi pare sia stato Calvino), stia anche nel voler inseguire un modello di stile mitizzato (che oggi ancora per molti Tolkien, probabilmente un domani sarà Martin) senza voler farsi lo sbatti di creare uno stile e ricercare un equilibrio propri, ogni scrittore il suo u.u

  3. LiveALive in ha detto:

    Chiacchierando in giro ho notato che in realtà molti conoscono la teoria della terza limitata, ma pure molti nella pratica, come te, non trovano riscontro di tutti i vantaggi promessi.
    In realtà il narratore onnisciente è ancora piuttosto usato, ma lo si usa più in modo “anomalo’. A tal proposito volevo segnalarti che sul numero 10 di Enthymema c’è un saggio sul narratore omodiegetico nella fiction contemporanea: se fai un salto sul sito puoi scaricartelo, cosa che ti consiglio perché è molto interessante.
    Anche la prima lezione di Giulio Mozzi alla Bottega di Narrazione, se non ricordo male, riguarda la figura del narratore, e si basa sulla analisi dalla Trilogia di New York di Auster.
    Io invece trovo interessante l’uso del narratore nel Deserto dei Tartari. Il pov non è tenuto benissimo, si capisce che a volte sballa senza volerlo (in fondo è un testo con settanta anni sulle spalle!), ma pure si nota bene che in alcuni passaggi Buzzati riesce a limitarsi bene alla visione di Drogo. Molto interessante il capitolo sesto: si parte stando piuttosto vicini a Drogo, riportando con molta intensità i suoi pensieri, e poi, quando si addormenta, parte un lunghissimo soliloquio del narratore onnisciente. È strano e può sicuramente non piacere, ma io lo ritengo un uso intelligente del narratore, perché ti fa rivalutare tutto quello che hai visto fino a quel momento.

    • Hendioke in ha detto:

      Grazie del consiglio, andrò a scaricarmi il numero e spero di capirci qualcosa perché, per esempio, diegetico è un termine che non sentivo dai tempi del Liceo e son dovuto andare a cercarmelo. Ormai ho più dimestichezza con termini come “cogente”, “sinallagma”, “eziologico”. Devo confessarti che non ho letto Il Deserto dei Tartari (che invece è uno dei libri preferiti di mio padre e della mia ragazza) ma condivido l’opinione che il passaggio al soliloquio del narratore, se ben gestito, è un modo intelligente di narrare.
      Anzi credo che, salvi casi in cui tutto si regga sull’aderenza al protagonista, sia un buon modo per tenere il lettore nella storia; anche se oggi come oggi sostenere che si può tenere un lettore nella storia rendendogli chiaro, cosa che l’uso del narratore onniscente fa, che si tratta di una storia, sembra un’eresia.

      Eppure io continuo a trovare che Ivanhoe sia uno dei romanzi più coinvolgenti che abbia mai letto, anche se hai la perenne sensazione di essere seduto nel salotto di Scott con questo che ti racconta la storia fra un sorso di whisky e una precisazione storica 😀

  4. LiveALive in ha detto:

    Come sai, ogni campo ha la sua terminologia. A un occhio esterno sembra gente che usa frasi insensate solo per sembrare colta, ma in verità non è così (chi usa frasi insensate però c’è davvero…). Credo però che questo sia anche dannoso per la comunicazione, perché la limita a chi la materia la conosce. Ecco perché, ti dicevo, volevo creare un sito di critica “accademica” che però si esprime con ironia e semplicità.

    Non so quanto esattamente ci capirai di quel saggio. La cosa interessante sta nel “narratore onnisciente omodiegetico”. Un narratore che è dentro al testo, ma è pure onnisciente. Per esempio abbiamo “Storia di una Ladra di Libri”, dove il narratore dice “io”, ma pure è onnipresente e può leggere nella mente di tutti i personaggi. Perché? Perché l'”io” è la Morte.
    Ma non solo. Prendi per esempio il narratore della Recherche: è un umano normale, eppure espone anche ciò che non può sapere, come i pensieri di un altro personaggio in punto di morte.
    Se ci pensi il narratore in prima persona che si comporta come onnisciente era tipico dei testi antichi, ma ci si giustificava dicendo che il narratore esponeva anche ciò che non ha visto perché gli altri personaggi gli hanno raccontato tutto (vedi il canto II dell’Eneide, il mio libro preferito),.. Ma qui? Che giustifica abbiamo? Si può dire, per esempio, che il narratore in prima persona è SEMPRE inattendibile: dice ciò che non può sapere perché inventa, a volte lo dichiara pure (vedi i testi di Siti). Oppure, più semplicemente, la narrazione ha prelazione sulla mimesis, cioè il lettore accetta che il personaggio dica ciò che non può sapere in cambio di una narrazione più bella.
    Ora, nel saggio si riconosce che in certi autori ciò è involontario, ma il punto non è la volontarietà; il punto è che ha un dato effetto. Che effetto? Il lettore ne è disturbato e ha l’illusione che sia tutto finto? O, al contrario, accetta tutto? Non è facile dirlo perché, come evidenzia Genette, ciò che in una epoca è percepito come empatico e coinvolgente in un’altra può risultare freddo e distaccato. Per esempio, prendi un altro tipo di “onnisciente omodiegetico”, quello del narratore onnisciente che, a un certo punto, dice di aver conosciuto i personaggi di cui narra in una certa circostanza (come nella Fiera della Vanità, o il “noi” di Madame Bovary). Tu così sai che c’è qualcuno che narra e che inventa, ma pure, all’interno del testo, la storia dovrebbe acquisire credibilità… Eppure il saggista dice che forse ciò funzionava nell’ottocento, mentre oggi, con il lettore abituato alla metanarrativa, l’effetto è “derealizzante”. Ciò andava bene nel “patto autore – lettore” ottocentesco ma non nel contemporaneo. È strano ma è così, la percezione cambia anche in questo.

    …ma mi fermo qui. Se ti interessa questo accenno, leggiti direttamente il saggio che dice molte cose in più. Io mi fermo qui perché conosco poco la cosa e non voglio prendere posizione

    • Hendioke in ha detto:

      Ho scaricato il saggio e lo leggerò a breve ma grazie di questo breve riassunto e non vedo l’ora che tu metta online il tuo sito di critica!
      L’idea del patto col lettore che cambia è affascinante e mi riporta alla mente gli studi di comunicazione del Liceo 🙂
      Il problema adesso è capire come si stia evolvendo e, soprattutto, quanto appeal conservano i libri scritti seguendo patti vetusti o inconsueti; argomento interessante 😀

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